Critiche


“La violenza del colore ed una pittura profondamente piena di contenuti, caratterizzano l’opera di Cosimo Della Ducata, un giovane che ha senz’altro i mezzi per fare meglio e bene. Il suo discorso è essenzialmente emotivo e si identifica in un’analisi profonda, ma non artificiosa, di stati d’animo (loro contraddizione e realtà); il risultato stimola a livello biologico chi guarda, avvolgendolo nel “cromatismo delle opere.”
Toti Carpentieri, La Gazzetta del Mezzogiorno, 1970 – in occasione della IVa Rassegna di pittura, scultura e grafica contemporanea, Lecce

“Cosimo Della Ducata dipingendo vive intensamente il dramma della irreale affermazione di un uomo che accusa la problematica del suo tempo e che nel sogno ricerca un ordine, un equilibrio forse irraggiungibile; ma, in questa visione pessimistica, c’è pure un barlume di speranza, di salvezza: la Provvidenza. La mano di Dio che rivaluta e ricompensa la precaria condizione dell’Umanità martoriata dal Male e protagonista di una storia scritta, in gran parte, dalla tragedia.”
Franco Lisi, 1970

“Cosimo Della Ducata pittore, per noi è sulla giusta strada…pertanto merita stima e credito così com’è, come vive e si esprime nei contrasti di autentiche forze cromatiche dominate da un rosso acceso e dal nero angoscioso libero da esperienze altrui […]. Attraverso tormenti, sogni, smarrimenti e ragioni la sua ricerca, sincera e ansiosa, sa condurre alle riflessioni che sono sue e che rendono partecipi così delle sue angosce come delle beatitudini,dei dolori,del coraggio e delle sue affermazioni. Della Ducata racconta solo in se stesso, come se compisse semplicemente una missione.”
Mario Moscardino, 1970 – in occasione della IIIa Rassegna Nazionale di Arte Contemporanea

“Cosimo Della Ducata è un puro, è un autodidatta trascinato dalla passione spontanea ed incontenibile dell’arte[…]. Un sentimento artistico umano, vivo, spontaneo e che egli è capace di trasfondere nelle sue opere arricchendole inoltre e illuminandole di significati che giungono al di là della semplice espressione figurativa.”
Oliviero Cataldini, 1969 – in occasione della Mostra Personale, Roma

“[…]talento sincero,naturale,indipendente,fedele alla sua vocazione[…]ha saputo innalzarsi all’espressione della vita reale, vita di affetti, di tristezze, alla vita sovrumana, all’ideale religioso. Lo diciamo con grande fiducia, i quadri di questo artista sono opere da maestro, opere di prim’ordine, alcune fra le più nobili creazioni della pittura moderna.”
Prof. Sauro, 1970

“[…]violenta tavolozza e vorticoso onirico spazio fantastico […].”
Vittorio Balzebre, 1970

“[…]vive il dramma esistenziale di una umanità tormentata, in un fervore creativo,dove l’anelito alla speranza ed alla fede spegne il nero angoscioso del suo sgomento[…].”
Attilio Iovino, La Gazzetta del Mezzogiorno, 1971 – in occasione della Personale di Pittura, Galleria Maccagnani, Lecce

“[…]l’albero contorto, aggressivo è vivo ed è un uomo; sono uomini i cavalli avvolti e quasi sopraffatti sull’orlo di una voragine senza fine; è sempre il dramma della vita umana il protagonista, nel groviglio dei corpi nudi, delle donne senza volto in cui, con innocenza che può essere attribuito solo di un vero artista, egli raffigura la gioia, il tormento, ma soprattutto la libera espressione della
propria natura che l’uomo cerca, da sempre.
[…] si rivela un puro, nel senso che la sua espressione è quasi impudica per la sua semplicità evidenziale al di là del naturale e perciò surreale. Tenerezza, amore, crudeltà, passionalità, sadismo, abbandono, sogno nella realtà, sono gli ingredienti di questa personalità tipica di un uomo meridionale ancora polivalente e primitivo e perciò pittore fanciullo.”
Vita Maria, Corriere del Giorno, 20/02/1971 – in occasione della Personale di Pittura, Centro Studi Internazionale Mediterranea, Brindisi

“[…] è un pittore dall’istinto rilevante e ciò può essere ricavato direttamente dalle sue opere: dalle accensioni cromatiche, dalla espressività dell’immagine che raggiunge punte espressionistiche, vere e proprie (sia nel colore che nella dinamica immaginativa) dalle inconsuete impaginazioni, dal taglio, a volte, brusco e sintetico, dalla rutilante immaginazione che propone nuove dimensioni prospettive, punti di vista differenziati e mobili, arditi scorci, movimento e contorsione nelle figure, da cui scaturisce una poetica, un po’ esaltata, ma altamente espressiva.”
Vittorio Balzebre, 1974

“Turbamento, sussulto, brivido: sono queste le reazioni che suscita la pittura di Cosimo Della Ducata, e non soltanto per la violenta irruzione delle figure e l’acceso cromatismo che la soggettizza, ma per quella carica emozionale che la determina e che le conferisce una rapida quanto sincera comunicativa. Si direbbe che Della Ducata dipinga in trance, tale è l’immediatezza del suo modulo espressivo, come se fosse costretto da una galoppante urgenza interiore che non gli consente pause, come se, preso nelle spire di un incubo, riuscisse a liberarsene soltanto concretizzando il suo processo creativo. Dalle sue tele avanza un’umanità urlante che sembra valichi i confini del reale,dando vita ad un vortice di presenze metafisiche, e lo stesso simbolo di fede come ne “L’Inno dei Credenti” sembra fluttuare tra l’essenza di un mistero e la concretezza di un’angoscia ch’è di tutti e di ognuno; la stessa angoscia che trabocca dallo sguardo spiritualizzato dei cavalli, che l’Artista estrae dalla sua impellenza di libertà, astraendoli dalla loro reale dimensione e sublimandoli a simbolo. Nelle loro pupille dilatate addensa remote consapevolezze e nelle criniere impiglia il turbine delle contraddizioni e dei dilemmi umani. Spesso appaiono frenati da lacci, scalpitanti nell’ansia dell’evasione,oppure contratti sotto il peso della condanna-come nell’opera “Paura della verità”,-sempre nella spirale di un tormento che li agita e li travaglia. Un’atmosfera di inquietudine che mentre da un lato riporta a galla i contorni di primordiali dolori, dall’altro rimarca esasperanti continuità di lotta e di martirio, trovando adatta collocazione ed esplicazione in campiture dai toni cupi che ci riportano alla mente la pittura nera del Goya. Non è infatti, azzardato definire Cosimo Della Ducata Il Goya del duemila. L’analogia viene spontanea non soltanto per l’esplosione cromatica, quanto per l’analisi crudelmente sincera che il nostro fa della società contemporanea, tracciando la situazione drammatica dell’uomo attuale, proiettato in una dimensione esistenziale che si fa ogni giorno più contraddittoria e -perché no?- assurda. Lo stesso processo spietato che il Goya volle fare al suo tempo. Associando la pittura di Cosimo Della Ducata a quella del Goya, non intendiamo assolutamente chiudere la predetta arte nei limiti di un modulo già concluso, cioè imprigionare il Pittore nel cerchio di un influsso,nei canoni di una scuola, il che potrebbe suonare, ad un lettore disattento, come indicazione di un’arte già scontata.
Della Ducata non è un ricalcatore di passate esperienze; se c’è una somiglianza tra la sua pittura e quella del Maestro spagnolo è perché nasce da un unico denominatore: il dramma umano. Pur se i momenti mutano col mutare dei tempi, il volto del dolore non muta e il forno del male accende lo stesso fuoco, sia che inghiotta l’esasperata “Processione dei flagellati” (Goya), sia che vomiti la terrificante carneficina dei vietnamiti (Della Ducata).
Tutto sta nella più o meno accentuata sensibilità espressiva che porta a sciogliere il nodo emozionale in un modo o in un altro, condizionando la scelta preferenziale delle tinte, imprimendo movimento o addirittura contorsioni di forme. L’arte non può e non deve subire classificazioni di tempo e tanto meno di mode: se è vera ne rimane al di sopra e non si pensa a sorpassi. Rimane unica, con la sua impronta divina e non subisce mutamenti, anche se ogni artista, sempre interprete del momento storico in cui vive, la fa aderire al suo tempo.
Giulietta Livraghi Verdesca Zain, La Gazzetta del Mezzogiorno, 1974, titolo: Il Goya del duemila Testimonianza per Cosimo Della Ducata

“[…]E’ una pittura marcatamente espressionistica dai contrasti cromatici più accentuati, il rosso, il verde, i bianchi su sfondi spesso neri. L’immagine, nella sua contorsione è esaltata al massimo,
quasi caricata, come avviene nella satira, proprio quando si vuole stigmatizzare un fatto di costume. Il colore che a volte, sembra “monocromatico”, assume un suo valore di tonalità atmosferica cupa
(accentuata nella sua massima espressività) da inferno. Vi è un diaframma che distingue le figure che si presentano improvvisamente sulla scena ed il fondo che si incupisce sino a diventare una vera
barriera di impenetrabilità. Questa lotta tra le tenebre e la luce è tutta la tematica ed anche la poetica di Della Ducata. Una lotta che si caratterizza tra il bene ed il male, anzi tra il divino e il maligno.
E la luce vince sempre le “tenebre” e soltanto quando le tenebre sono vinte si può avere l’espressione artistica nella sua essenza poetica”.
Giulietta Livraghi Verdesca Zain, La Gazzetta del Mezzogiorno, 1974

“Mai come in questo tempo si è registrato un pullulare di artisti che se da un lato porta a sperare nel tanto auspicato ritorno ad una dimensione spirituale, dall’altro scoraggia per la facilità con la quale
si appioppa l’etichetta di << Arte >> ad ogni forma di sperimentalismo, ad ogni tentativo dilettantistico. Ne consegue che risulta sempre più difficile il discernimento dei veri valori, non certo affossati dalla pretenziosa concorrenza al titolo, ma comunque dispersi nel crescente caos delle mode e delle mistificazioni. Per fortuna la vera Arte ha una sua esplosione di verità inconfondibile che ti ferma e ti obbliga ad un processo di identificazione,mediante una sollecitazione intensa della realtà immediata. Quella, appunto, che ci ha preso al contatto con l’opera di Cosimo Della Ducata, dandoci la certezza di
avere incontrato non l’alchimista di transitori moduli, ma il pittore onestamente impegnato che cerca, nella coscienza della sua umana ribellione, il metro migliore per la resa di un’arte che è vita.
Vita intimamente vissuta e che rapidamente si esplica nel contrasto delle luci, nell’apocalittico addensarsi delle ombre, nell’angoscioso curvarsi delle figure e che una pennellata fremente di passione, scaraventa sulla tela. Una pittura di getto che pone al centro di ogni conclusione formale l’essenza dell’uomo: l’uomo focalizzato nel suo dramma di ogni giorno, sagomato dal dolore di ieri, di oggi, di sempre. Cosimo Della Ducata lo sintetizza in gridi dilanianti, o scatena in una convulsa ridda di espressioni, amalgamando con la natura, facendone un tutt’uno, orchestrando un unico immenso dramma. Il dramma dell’umanità combattuta dai mille contrasti, gravata dai mille dilemmi e che il pittore impagina con tocchi veritieri e sempre convincenti, sia che articoli ammassi di forme umane, sia che, in trasposizione di simboli, accenda la bollente irruenza dei cavalli. La stessa tensione emotiva che giganteggia nell’opera << L'inno dei credenti>> (m.1,83x 2,24) – dove una processione dai volti macerati, quasi deformati dal tormento, sembra avvolga la croce con una cortina di lamenti- la ritroviamo nell’opera << Voglia di vivere >>, dove due cavalli, resi umani da una sconcertante profondità di sguardo, si intrecciano, si torcono, evidenziando il tormento che li artiglia; o ancora nell’opera << Io e il mio io >>, dove l’associazione cavallo-uomo genera, più che una rispondenza, una fusione di motivi. Molte sono le opere che hanno come protagonisti i cavalli, nei quali l’artista identifica sé e l’umanità tutta con le sue urgenze di libertà, la sua sete di spazio e di vita: vita intensa come realizzazione, come verità, come possesso inintaccabile di un credo ch’è dentro di lui e, nello stesso tempo, al di sopra della sua parabola. Pittura forte, dunque, enucleata in un continuo macerarsi del pensiero, in un travaglio che non ha soste e non consente tregue. Pittura che nascendo da uno spirito intuitivo, e quindi fortemente emotivo, non conosce cedimenti dispersivi e riesce a mantenere inalterata, fin nelle dissolvenze più periferiche, quella carica che la genera e caratterizza, concedendo a Cosimo Della Ducata validopassaporto per le difficili frontiere dell’Arte.
Nino Pensabene, Gazzettino, 07/03/1974, titolo: Exploit di Cosimo Della Ducata – Evento pubblico alla Galleria d’Arte “Il Sedile” di Lecce per la personale del valente pittore – in occasione della Personale, Galleria d’Arte “Il Sedile” Lecce – Quaderni dell’Associazione Siciliana per le Lettere e le Arti Anno VIII- N.18-19 DEL 1975 pag.56 titolo: Profili Cosimo Della Ducata

“Quella di Della Ducata è una pittura di “getto” che pone al centro di ogni conclusione formale l’essenza dell’uomo: l’uomo focalizzato nel suo dramma di ogni giorno sagomato dal dolore.”
Nino Pensabene

“Grande successo ha riscosso la mostra di Cosimo Della Ducata a Lecce all’Hotel President definito da qualcuno a giusta ragione il Goya del Duemila, per i suoi quadri impregnati di un crudo “verismo”. Cosimo Della Ducata nell’estrinsecazione del suo “io” dal quale non può mai scindersi senza morire è in continua lotta perenne per l’esaltazione quasi morbosa della verità, i suoi quadri lasciano lo spirito perplesso, ed alcuni fanno quasi paura perché egli traduce su tela tutto ciò che l’umanità non vorrebbe mai ricordare perché ormai da anni è dimentica dei dogmi della verità e della religione,i suoi vecchi in processione,le sue crocifissioni, le sue ricerche della verità altro non sono che dei simboli tradotti in pennellate. Cosimo Della Ducata è un autodidatta non ha seguito la scuola di alcuna corrente,è unico ,la sua arte rimane unica, e come tutti i grandi artisti è semplice e umano, privo di quella retorica che potrebbe oggi servirgli per essere qualcuno. Egli è strettamente legato all’espressionismo che senz’altro ne fa di lui uno dei più grandi artisti del nostro tempo e la sua gloria oggi è minima in confronto a quella che i posteri già preparano per lui. Perché l’umanità presente ha paura di conferire gloria se non a chi non c’è più, paura di dover accettare la verità così bene tradotta sui quadri da Cosimo Della Ducata.”
anonimo, titolo: Cosimo Della Ducata ed il suo “Io”

“[…]dipingeva cavalli impennati, uomini pensosi, donne doloranti, santi martoriati, soggetti e scene che nella natura circostante non c’erano, ma che si concretizzano nella fantasia del pittore[…].
Successivamente, Cosimo Della Ducata si è trasferito a Lecce, dove opera, svolgendo un’attività artistica a livello professionistico. Non gli sono mancati incoraggiamenti e consensi, alcuni veramente entusiastici: una estimatrice lo ha paragonato al grande Goya”.
Franco Lisi, 1973 – in occasione della Mostra Collettiva, Foggia

“ In questa pittura -“nata da uno stimolo emotivo”- è necessario cercare di conoscere ciò che sta dietro le figure più che delle figure stesse. Un concreto risultato-questo – che Della Ducata ha potuto conseguire “grazie alla presenza palese del suo carattere” che lascia sulla tela, la testimonianza della sua reale autenticità di artista. Guardiamo l’irrompenza che esplode dall’opera << Morte, urlo e rassegnazione >>: un’opera di alto significato psicologico, il cui contenuto di attualità, ci pone in grado di condannare ogni violenza ed ogni sorta di repressione che colpiscono la nostra società.
Altra opera di grandi proporzioni che condanna aspramente la guerra è << All'ombra del pipistrello>>, la cui bocca sforna rettili umani: uomini, donne e bambini i quali, travolti dal grande cataclisma, diventano preda della ferocia belluina contro la quale è impossibile lottare. La tela, movimentata con un colore violento, iperteso, ci dà un senso di raccapriccio e ci fa sentire la nostra piccolezza di uomini impotenti a frenare la corsa del destino. E ancora << Il Rosario >>,una lunga teoria di donne macerate dal dolore e dai sacrifici, che pongono nella fede la loro unica speranza. Il calvario delle madri (calvario rappresenta il dolore dell’umanità), si snoda in una condensazione di sentimenti: sofferenze, lacrime, attese, illusioni e delusioni. Sentimenti uguali in ogni creatura umana in quanto ogni creatura porta in sé il soffio dello stesso Dio. Qualcuno ha paragonato la pittura di Cosimo Della Ducata – nella quale c’è sempre qualcosa di infinitamente tormentato – a quella del Goya,il celebre pittore spagnolo che aveva in odio la guerra, le distruzioni e le fucilazioni. Non possiamo dissentire nel paragone, perché l’amore verso la bellezza o la condanna verso le atrocità, sono uguali in ogni artista, perché l’arte non ha né barriere, né confini, né filo spinato, né religione. Della Ducata ci ha offerto, con la sua arte, una lezione di vita e di civiltà. Sta a noi trarne le conclusioni: sta a noi fare tesoro di questa lezione. E che la sua pittura sia di monito per quanti alla disciplina e all’ordine, all’amore e all’onesta, alla rettitudine e alla dignità, sovrappongono l’inettitudine e l’insofferenza, la violenza e la discordia.
Gino Spinelli de’ Santelena, 1975 – in occasione della Mostra Personale, Galleria Maccagnani, Lecce

“[…] Per parlare brevemente di questa pittura,dobbiamo forzatamente convenire che “ la fantasia dell’artista non è altro, in fondo che la forza di immaginazione di cui tutti abbiamo in qualche misura bisogno, per possedere il mondo come mondo di appartenenze visive”. Infatti è risaputo che l’ << attività artistica comincia quando l'uomo si pone di fronte ad un immenso enigma, quando egli spinto da interne necessità, afferra con la forza del suo spirito la massa confusa delle cose visibili per condurla ad una esistenza formata>>. L’artista – a parer nostro – si esprime secondo il turbamento che lo pervade allorché si accinge a fermare sulla tela i fantasmi del suo mondo in continuo fermento: un mondo nel quale si agitano sentimenti di ripulsa e di odio, di violenza e di distruzione. Un mondo dal quale l’artista vorrebbe
evadere lottando contro la violenza e la ferocia umana la contestazione e le iniquità delle genti. Un mondo che nel sortilegio di un continuo maleficio trova facile esca per accendere il fuoco del disordine e della distruzione. In questa pittura – nata << da uno stimolo emotivo>> per dirla con Edoardo De Filippo – <> – è necessario cercare di conoscere ciò che sta dietro le figure più che delle figure stesse. Nei cavalli rampanti per la recrudescenza di una captività che li costringe a mordere il freno, l’artista esprime la speranza che la corsa dell’umanità protesa verso l’abisso che sta per travolgerla, possa essere frenata dagli uomini che reggono il destino dell’universo, dell’umanità e avvalora il
sentimento in quanto l’artista, sente il bisogno di liberarsi da un peso che l’opprime, manifestandosi con un colore solido e ben temprato. Un colore sensuale che dispensa la << sua malia quasi velenosa, con la brutale impressione della sua forza>>. Un senso del tragico che nel pittore è venuto a crearsi come una reazione alla perfidia della gente, e che << lascia il passo a tutto ciò che nell'arte è espresso e sotterrato alla pazza sensualità del colore stesso>>. Un concreto risultato-questo – che Della Ducata ha potuto conseguire “grazie alla presenza palese del suo carattere” che lascia sulla tela, la testimonianza della sua reale autenticità di artista. Guardiamo l’irrompenza che esplode dall’opera << Morte, urlo e rassegnazione >>: un’opera di alto significato psicologico, il cui contenuto di attualità, ci pone in grado di condannare ogni violenza ed ogni sorta di repressione che colpiscono la nostra società. Altra opera di grandi proporzioni che condanna aspramente la guerra è << All'ombra del pipistrello>>, la cui bocca sforna rettili umani: uomini, donne e bambini i quali, travolti dal grande cataclisma,diventano preda della ferocia belluina contro la quale è impossibile lottare. La tela, movimentata con un colore violento,iperteso, ci dà un senso di raccapriccio e ci fa sentire la nostra piccolezza di uomini impotenti a frenare la corsa del destino. Una tela di alta concezione drammatica,sostenuta da un significato terrificante, è << Il risveglio del gigante >>, e ancora <>, una lunga teoria di donne macerate dal dolore e dai sacrifici, che pongono nella fede la loro unica speranza. Il calvario delle madri (calvario rappresenta il dolore dell’umanità), si snoda in una condensazione di sentimenti: sofferenze, lacrime, attese, illusioni e delusioni. Sentimenti uguali in ogni creatura umana in quanto ogni creatura porta in sé il soffio dello stesso Dio. Qualcuno ha paragonato la pittura di Cosimo Della Ducata – nella quale c’è sempre qualcosa di infinitamente tormentato – a quella del Goya, il celebre pittore spagnolo che aveva in odio la guerra, le distruzioni e le fucilazioni. Non possiamo dissentire nel paragone, perché l’amore verso la bellezza o la condanna verso le atrocità, sono uguali in ogni artista, perché l’arte non ha né barriere, né religione. Essa affratella tutti gli uomini, mentre la guerra li rende tutti nemici. Quindi l’arte – come la guerra – è universale, con la differenza che mentre la prima crea e unisce, la seconda divide e distrugge.
Della Ducata ci ha offerto,con la sua arte,una lezione di vita e di civiltà. Sta a noi trarne le conclusioni: sta a noi fare tesoro di questa lezione. E che la sua pittura sia di monito per quanti alla
disciplina e all’ordine, all’amore e all’onestà, alla rettitudine e alla dignità, sovrappongono l’inettitudine e l’insofferenza, la violenza e la discordia. Il mondo è stanco di sopraffazioni, di delitti, di rapimenti, di paure. E’ necessario che ciascuno di noi faccia ogni sforzo per creare un mondo nel quale guardare con serenità al domani. E’ un dovere, questo, soprattutto per gli artisti i quali debbono contribuire, con la propria arte, a quest’opera di umana redenzione.
Gino Spinelli de’ Santelena, “La Tavolozza” Rubrica, 1975 – in occasione della Mostra Personale, Circolo della Vela, Bari

“[…]Della Ducata si proietta in secoli passati per rivivere una sua tragedia che esprime non solo con la forma ma anche col colore. Colore tenebroso, espressionismo sui generis. Poi improvvisi chiarori in quelle tavole che ci danno l’impressione di acquerelli (pur essendo oli), per raccontare episodi da “Gerusalemme”o da “Commedia” o accadimenti mitologici. Un mondo in cui il pittore si è immerso e ci vive bene isolato da ciò che lo circonda.”
Vittorio Balzebre, “L’ora del Salento” Spazio arte, 29/10/1977 – in occasione della Mostra Personale, Galleria Esagono, Lecce

“[…]virile e vibrante robustezza espressiva. Egli appare proteso verso un figurativismo immaginativo per lo più di carattere sacro-biblico ove smaglia una capacità espressiva che appare sincera anche in sentimento vivo nella sua significazione antica ed eterna. Oltre a ciò, il Della Ducata ripropone,nella stessa aria un cromatismo di tono che diremmo baritonale,una bravura paesaggistica ognora in fantasia tutt’altro che calligrafica e quindi composizioni umane e d’animali in tutta vitalità esteriore e interiore.”
“Taccuino” 1977

“Si è inaugurata la nuova stagione artistica con la personale di pittura (13-27/10/1977) di Cosimo Della Ducata. Autodidatta, ormai sulla breccia da molti anni, Della Ducata opera in virtù di quella
vocazione per cui l’autentico artista non ha altra tematica se non la sincerità con se stesso. Proprio in forza di questa,mediante un espressionismo che rende in maniera immediata tutta l’essenza del suo
mondo interiore,la pittura di Della Ducata si fa arte. Nelle sue tele è evidente lo slancio con cui egli vuole esprimere fatti e vicissitudini dello spirito umano dando vita ad un mondo poetico che si
realizza pienamente. Da una sia pur rapida lettura delle opere si rileva il grido di protesta dell’autore contro le ingiustizie sociali,l’accorata considerazione dell’infelicità esistenziale, il senso di
rassegnazione di fronte all’ineluttabile fluire del tempo. Egli è pessimista ed ottimista insieme perché la sua osservazione spietata delle miserie umane non lascia adito a turbamenti e trova la soluzione in una fiduciosa speranza: alla visione dolorosa della folla dei miseri fa contrappunto la contemplazione rasserenante del dramma del Divino Paziente,al “Quinto Stato” segue la “GrandePietà”. Quest’opera per mole,per concezione e per accuratezza di esecuzione rende perfettamente il valore dell’arte di Della Ducata. L’artista s’impone in ogni sua opera per la calda inventiva,per la felice intuizione prospettica,per l’equilibrata costruzione dell’insieme. Il cromatismo si articola sempre nel contrasto bianco-nero arricchito da toni ocra o rosati per cui i due colori acquistanomorbidezza e calore e creano un’atmosfera scenografica che conferisce alle opere l’impronta personale.”
Giovanni De Tommasi, 1977 – in occasione della Mostra Personale, Centro Studi Esagono, Lecce

“Una pittura stupefacente,che non solo è grande nella produzione, in certi periodi addirittura vulcanica, ma grande soprattutto nell’ispirazione: pensiero e preghiera, soprattutto contemplazione del dolore e del martirio, delle paure delle tentazioni, e insieme delle vittorie più grandi dello spirito. Il fondo prediletto delle composizioni più grandi è, pur senza monotonia, sempre quello dei toni cupi e portanti, a volte lacerati da un grido improvviso di luce, di natura universale ma di provenienza particolare (evidentemente presente la lezione del luminismo caravaggesco e delle ombre che preparano il grottesco di Goya)[…].”
Francesco Rausa, 1978 – in occasione della Mostra Antologica, Galleria Maccagnani e Galleria d’Arte “Il Sedile”, Lecce

Intervista all’artista
di Giancarlo Sergio
Qui ti trovi in mezzo a tante opere dalle dimensioni più diverse: miniature di appena 6cm2, come immensi pannelli di 60m2. Di queste dimensioni è un’incredibile quanto stupenda << Via Crucis >>.
Mentre il nostro sguardo è attratto da decine di figure e da paesaggi inconsueti, Della Ducata ci osserva in silenzio, in attesa di sentire le nostre impressioni. Sa che al primo impatto ogni visitatore
finisce col chiedergli le motivazioni che lo portano a cimentarsi su così vaste superfici, ma conosciamo Cosimo da cieca venti anni, e con lui, le sue idee e i suoi desideri. Va bene. Il tuo è un modo particolare quanto personale di dipingere, ma come definisci te stesso?

Nessuna definizione in particolare. Penso solo a lavorare, cercando di dire qualcosa di personale e, -perché no? – di originale. Non posso certo nascondere che nel mio << fare >> è presente quel quid, che chiamo << chiodo fisso >>: la morte.
Perché pensi solo alla morte?
Di solito, l’uomo non vuole pensare alla morte; per me, essa ha invece un profondo significato e varie connotazioni.
Spiegati meglio.
La mia dimensione della vita è tutta protesa a questa irrinunciabile realtà. Da essere umano, guardo alla vita e ai condizionamenti e alle lotte quotidiane che si conducono. Ed allora, ecco queste mie
testimonianze. Mi hai chiesto di dare una definizione di me stesso, invece ti do una identificazione. Sono e mi sento un pittore figurativo che cerca di mettere in risalto il dolore, quello vero, che
l’uomo spesso cerca di negare e che tradisce per false ideologie.
La morte, il dolore, l’uomo. E poi?
La vita è fatta di tanti contenuti e di tante idee, non lo posso negare. Tuttavia, pur pensando sempre al bene e alla infelicità interiore, non riesco a rappresentarli perché, in fondo, non lo voglio. Così,
quando assisto o vengo a conoscenza di quanto l’uomo nega agli altri sui simili, non riesco a giustificarlo né, tantomeno, a restare impassibile. Nè, infine, a tacere. Ecco, allora, i miei lavori. Provo infatti una necessità insopprimibile che mi porta a denunciare sulla tela tutto ciò che di sbagliato esiste o si fa.
Quali sono le cause, le motivazione che ti portano a realizzare e a produrre opere così grandi?
Si può fare << arte >> in tanti modi. Ciò che è espressione e capacità esce sempre fuori. Però io, realizzando opere così grandi, cerco di misurare la mia dimensione di artista e le mie possibilità creative e, con un pizzico di presunzione, voglio lasciare un qualcosa di diverso. Forse, un giorno, di tutte le mie opere si farà solo un bel falò, ma non si potrà certo negare che da parte mia non ci sia stato l’impegno.
Nelle tue opere è sempre presente l’uomo, ma quale uomo in particolare?
L’uomo che soffre, che è obbligato dagli altri a soffrire, nel quale io mio riconosco. In ogni mia opera vi è sempre una ricerca sentita e sofferta, a cui si accompagna la volontà di usare i materiali più diversi. Cos’è per te la religione? Credi in Dio? Sei un cattolico o un cristiano? Credo in Dio, ma non sono un bigotto, però Dio in me è sempre presente. Sono un peccatore e mi condanno, ma non posso esimermi tuttavia di giudicare e di condannare chi sbaglia, specialmente nel campo del sociale. In una mia << Resurrezione >> vi è un Cristo rimproverante, immerso in uno scenario apocalittico che l’uomo ha creato. Questo Cristo è legato ad un patibolo posto su una caterva di cadaveri, che non sono altro che i peccati dell’uomo; però, pur essendoci la speranza nella Resurrezione, vedo, giorno dopo giorno, che gli uomini non vogliono salvarsi. Da semplice manovale dell’arte lancio un << j’accuse >> che non ammette deroghe.
Cosa ti rimproveri oggi che ancora non hai fatto?
Verso di me niente e tutto, ma non posso fare a meno di rivolgere un rimprovero alla società che rifiuta a tanti suoi componenti di realizzarsi. Vorrei avere a disposizione, ma è praticamente impossibile, mille metri quadrati per realizzare un’opera tale da fare inginocchiare ogni ogni essere umani, pronto a riconoscere le sue colpe; e poi tanti altri spazi per realizzare quanto dentro di me mi turba e mi sconvolge.
Cosa pensi degli addetti alla critica d’arte e della cultura salentina?
Non posso tacciare i primi né di apatia né di disinteresse verso i fatti locali, però questi sono condizionati e si lasciano condizionare dalla politica o dalle situazione contingenti. Preferiscono scoprire chi è già conosciuto, così che tanti altri, visto come vanno le cose nell’arte, rischiano di restare per sempre nell’anonimato. Non riesco poi a capire perché oggi a Lecce ci si debba interessare solo di quegli artisti che non stanno più tra noi. Ultimamente ho letto su un catalogo ufficiale che toccherà anche ai giovani essere ospitati negli spazi pubblici. Chissà se i miei 51 anni anagrafici riusciranno a prevalere negativamente sulla gioventù del mio animo! Ben vengano, però, queste manifestazioni. E’ giusto, è doveroso che si realizzino retrospettive dei nostri artisti più significativi e che la loro arte sia divulgata; però i critici d’arte e coloro che << fanno >> cultura devono assumersi delle responsabilità verso chi opera.